Con l’approvazione da parte di AIFA alla rimborsabilità di elranatamab, anticorpo bispecifico sviluppato da Pfizer, si apre una nuova e concreta opportunità terapeutica per i pazienti affetti da mieloma multiplo in stadio avanzato. Un risultato significativo per i pazienti che hanno già esaurito le principali opzioni terapeutiche.
Un cambiamento di scenario clinico
Il mieloma multiplo (MM), seconda neoplasia ematologica per incidenza, presenta oggi una sopravvivenza mediana che può superare i 10 anni, grazie ai progressi terapeutici degli ultimi due decenni. Tuttavia, come sottolinea la dottoressa Maria Teresa Petrucci, Dirigente medico di Ematologia al Policlinico Umberto I di Roma, “non possiamo ancora parlare di guarigione: è una malattia cronica, con frequenti recidive, che impatta fortemente sulla qualità di vita dei pazienti e dei caregiver”.
Un impatto che non si limita all’aspetto clinico, ma coinvolge profondamente anche la sfera personale, sociale e psicologica. “Quando arriva una diagnosi di mieloma, anche in un paziente cosiddetto anziano – che però magari lavora, guida, fa sport, si prende cura dei nipoti – è uno sconvolgimento totale”, osserva Rosalba Barbieri, vicepresidente di AIL. “Parole come ‘recidiva’, ‘refrattario’ o ‘fallimento’ pesano enormemente sul vissuto della persona, che spesso si ritrova a dover affrontare un tunnel buio e incerto”.
La progressione della malattia, soprattutto nei pazienti già trattati con le tre classi principali di farmaci (immunomodulanti, inibitori del proteasoma, anticorpi anti-CD38), rendeva necessaria una nuova classe di farmaci con meccanismo d’azione innovativo.
Elranatamab e la promessa degli anticorpi bispecifici
L’arrivo degli anticorpi bispecifici rappresenta un punto di svolta nella strategia terapeutica. “Elranatamab è pensato per pazienti con mieloma recidivato e refrattario – spiega Elena Zamagni, Professore associato di Ematologia presso l’Istituto di Ematologia L. e A. Seràgnoli dell’IRCCS AOU S. Orsola-Malpighi di Bologna –. Nel trial MagnetisMM-3, su pazienti già esposti ad almeno tre linee di terapia, abbiamo ottenuto risposte cliniche in due terzi dei casi, con oltre la metà dei pazienti che ha raggiunto una risposta completa o quasi completa”. Il tasso di risposta globale (ORR) è stato del 61% e i dati più recenti, con 33,9 mesi di follow-up mediano, dimostrano che la durata mediana della risposta (DOR) non è ancora stata raggiunta, con una probabilità di persistenza della risposta al 30° mese del 79,1%
Meccanismo d’azione
Il meccanismo è semplice quanto potente, come spiega il professor Benedetto Bruno, Direttore Ematologia Universitaria, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – Presidio Molinette Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute-Università di Torino. “L’anticorpo lega da una parte un antigene espresso sulla superficie delle plasmacellule tumorali – nel caso di elranatamab, il BCMA – e dall’altra il recettore CD3 espresso sui linfociti T”.
Questa doppia specificità consente all’anticorpo di avvicinare fisicamente le cellule tumorali e i linfociti T del paziente, facilitando così l’attivazione della risposta immunitaria. “Mettendo in comunicazione la plasmacellula tumorale e il linfocita T, proprio per vicinanza, c’è un’attivazione del nostro sistema immunitario, un’attivazione del linfocita che, con una serie complessa di reazioni immunologiche, porta all’uccisione della cellula tumorale”.
Si tratta, di fatto, di una forma di immunoterapia “capace di riattivare il sistema immunitario del paziente” e di orientarlo in modo altamente selettivo contro il mieloma.
Sfide organizzative e multidisciplinarietà
“Non si tratta solo di somministrare un farmaco – precisa Bruno –. Serve un team multidisciplinare in grado di gestire complicanze acute e tardive, con neurologi, infettivologi, farmacisti, intensivisti”. È un cambiamento rispetto all’approccio tradizionale della chemioterapia, che vedeva l’ematologo come figura centrale e spesso unica.
Un aspetto pratico non trascurabile, tuttavia, è rappresentato dalla somministrazione sottocutanea, che consente nella maggior parte dei casi di trattare i pazienti in regime di day hospital, riducendo la necessità di ricoveri prolungati e rendendo la gestione clinica più agevole sia per i pazienti sia per le strutture sanitarie.
In un’ottica di equità e sostenibilità, il modello organizzativo più promettente sembra essere quello “hub & spoke”, dove i centri di riferimento supportano quelli periferici attraverso programmi di formazione condivisi e gestione coordinata. “Con un’organizzazione spoke efficace – sottolinea Bruno – anche i centri minori possono in breve tempo essere messi in grado di somministrare queste terapie in modo sicuro”.
L’impegno di Pfizer
“L’approvazione di elranatamab rappresenta un importante passo avanti, ma non è un punto d’arrivo – afferma Barbara Capaccetti, Direttore Medico di Pfizer Italia – È il frutto di un impegno decennale nella ricerca in ematologia, che ci ha visto attivi in diverse patologie, dai linfomi al mieloma multiplo, con l’obiettivo di offrire opzioni sempre più efficaci e accessibili per i pazienti”.
Oltre allo studio registrativo MagnetisMM-3, Pfizer ha attivato in Italia quattro studi clinici su elranatamab, coinvolgendo una rete di oltre 40 centri distribuiti sul territorio nazionale, anche nelle fasi più precoci di malattia. “Vogliamo evitare che i pazienti arrivino alle nuove terapie solo in fase avanzata – sottolinea Capaccetti –. Per questo stiamo lavorando per anticiparne l’impiego e valutare il loro potenziale già nelle prime linee terapeutiche”.